Fight Club di Chuck Palahniuk – scheda di lettura

Fight Club è il primo romanzo dell’autore statunitense Chuck Palahniuk, pubblicato nel 1996.

Partiamo dalla premessa che ho letto il libro dopo aver visto il film, e che quindi già pensavo di essermi fatto un’idea di come sarebbe stato – e che quindi mi sbagliavo: il film è uno dei più belli che abbia mai visto, mentre definirei il libro strano, per un motivo che spiegherò più avanti.

Trama

Ipoteticamente, dividerei il libro in due parti. Nella prima, le vicende sono incentrate sulla vita del protagonista, un impiegato di cui non viene mai fatto il nome, perso nel mondo moderno, disilluso e in un certo senso depresso a causa della società consumistica e falsa in cui vive. Tutto ciò lo porta a (soprav)vivere con grande infelicità, e a soffrire d’insonnia. Il suo dottore gli consiglia di partecipare a gruppi di sostegno per malati terminali – proprio una bella terapia, a mio dire. Grazie a ciò riesce a trovare una sorta di pace, ritrovandosi in una specie di trance mentre mette la sua vita in stand-by. A questo punto incontriamo un altro personaggio importante di questo libro, Marla, donna anch’essa disillusa, che scombina completamente la routine paranoica in cui si era rifugiato il protagonista ‘senza nome’… che smette così di andare a queste riunioni, e riinizia a soffrire di insonnia. Ed in questo punto incontriamo il secondo personaggio fondamentale per il prosieguo della storia, Tyler Durden, fabbricante di saponette, con cui mette a punto l’idea di aprire il Fight Club in uno scantinato,  i cui più assidui partecipanti sono le persone che costituiscono la parte media della società, sulle cui spalle vi è tutto il suo peso.

E qui, almeno a mio parere, inizia la seconda parte del libro – che ho fatto davvero molta fatica a leggere, riducendomi ad andare avanti di dieci pagine al giorno altrimenti sarei impazzito. Questo Club funge da terapia per il protagonista e per le persone che ci combattono, che immaginano il loro avversario non come un’altra persona, fatta da carne e sangue, ma come l’incarnazione di ciò che più odiano. Con il tempo, tutto ciò non basta più e, con i partecipanti del Club, il nostro ‘senza nome’ crea una sorta di esercito con cui s’è deciso a sovvertire e minare nelle fondamenta la società moderna: inizia così l’attacco allo stato. Il bello arriva proprio ora, quando il protagonista capisce che la situazione gli è sfuggita di mano e cerca di fermare ciò che Tyler ha iniziato, rendendosi conto che Tyler altro non è se non sé stesso durante i momenti di insonnia, e che Tyler in realtà, appunto, non esiste; ormai, però, è troppo tardi, e il processo di cambiamento pare irreversibile.

Personali considerazioni

La cosa che mi ha portato quasi a non concludere la lettura è lo stile che l’autore utilizza in questa che ho definito ‘la seconda parte del libro’. La prosa era cambiata completamente; le frasi hanno iniziato a ripetersi, in un loop che riparte dall’inizio e ripercorre da capo frammenti della vita passata del protagonista e di Tyler, in un vortice di parole e frasi a effetto. Nella prima parte, la lettura era abbastanza scorrevole; si può dire che sicuramente non era una tortura da leggere, e che mentre arrivavo alla conclusione che abbia colto il motivo di questa scelta dell’autore: penso che tutto ciò sia fatto per far entrare il lettore nel personaggio nella maniera più completa, torturandolo come il protagonista tortura sé stesso, facendogli provare la stessa instabilità, la stessa angoscia. Un atro dettaglio che mi fa pensare a ciò è la scelta di non farne mai il nome, proprio perché noi dobbiamo diventare il protagonista; non deve che crearsi l’idea di un personaggio ma deve restare un qualcosa sospeso nel nulla, nell’intangibile.

Sinceramente penso ci sia riuscito molto bene. Questo libro è diverso da tutti gli altri che abbia mai letto: è strutturato in modo completamente diverso da quelli che sono abituato ad avere tra le mani, molto più semplici, che raccontano una storia e non entrano nella psicologia così profondamente.

Ne consiglio la lettura? Sì e no.

Penso che nella vita vada affrontata almeno una volta una sfida del genere, ma bisogna anche essere consapevoli di cosa si sta per fare; sono anche dell’idea che non è un libro per tutti, che molti non arriveranno a capirlo, leggendolo solo superficialmente. Per questo, più che ad un mio coetaneo lo consiglierei ad una persona di almeno 6-7 anni in più, che ha una visione differente della vita e che può capirlo meglio di un adolescente.

È stata, appunto, un’esperienza strana, e non saprei come altro definirla; un’esperienza che sono contento di aver avuto ma che non vorrò mai più ripetere in vita mia.

Francesco Gulinelli , 3 E